Poesie

Le mie scarpe in mezzo agli altri

Io scientificamente mi domando come è stato creato il mio cervello, cosa ci faccio io con questo sbaglio. Fingo di avere anima e pensieri per circolare meglio in mezzo agli altri, qualche volta mi sembra anche di amare facce e parole di persone, rare; esser toccata vorrei poter toccare, ma scopro sempre che ogni mia emozione dipende da un vicino temporale.

da Poesie, Patrizia Cavalli, Einaudi 1999

E’ morta il primo giorno d’estate di questo disgraziato anno che si sta portando via le persone a mazzi Patrizia Cavalli, una delle più grandi poetesse italiane del secondo Novecento. “Patrizia è la poesia”, disse di lei Elsa Morante che, per prima, le riconobbe la vocazione per la poesia. La sua prima raccolta di versi che le dedicò s’intitola ‘Le mie poesie non cambieranno il mondo‘:

Qualcuno mi ha detto che certo le mie poesie non cambieranno il mondo.

Io rispondo che certo sì le mie poesie non cambieranno il mondo.

Non fa una piega. Le poesie non hanno mai cambiato il mondo, a volte hanno stigmatizzato momenti di vita, ma in genere le persone si accorgono della bravura di un poeta quando questo muore. Così sta accadendo per Patrizia Cavalli. Credo di aver letto una sua poesia, sui social, negli anni, forse un paio di volte, ora è tutto un fiorire di versi e di parole di encomio anche sulle pagine di persone che ne ignoravano l’esistenza e avrebbero continuato ad ignorarla non fosse che, scorrendo le pagine di Facebook, sono incappate in qualche frase di sicuro effetto da copiare ed incollare sulla propria bacheca. Mi colpirono molto alcune sue parole durante un’intervista di Roberta Scorranese, quando Patrizia Cavalli, già malata da tempo, lamentava di non avere più memoria a causa delle cure: “Come si fa a fare poesia senza memoria? La poesia è prendere qualcosa e togliere il superfluo per farlo risplendere.” Già. In questa ridondanza di parole bisogna trovare o ritrovare il dono della sintesi. Qualche giorno fa una gentile signora tra i miei contatti di Facebook, dopo aver letto un mio brevissimo testo, lo ha commentato così: “Scrivi benissimo cara Barbara, conserva questi tuoi pensieri così profondi, così condivisibili.” Dieci giorni dopo mi trovo a riflettere sulla morte di Patrizia Cavalli, sulla bellezza dei suoi componimenti che in queste ore hanno più lettori di quanti mai potesse immaginare, e mi dico che l’unica via per sopravvivere a se stessi è l’arte e per essere letti è morire, forse. Ci cuciamo addosso le poesie, i racconti, le storie d’amore… come fossero vestiti. A volte te li senti stretti, altre ci balli dentro e li vorresti riprendere, ma non puoi, non più. In alcuni momenti, rari per la verità, ti stanno a pennello e altrettanto raramente stanno a pennello ad altre persone che li fanno propri, se li portano a spasso, come il breviario il giorno della Prima Comunione o il bignami il giorno degli orali dell’esame di maturità. Certi amori senti che ti stanno addosso così bene che non ti par vero non si vedano i tuoi difetti, passeggi come se stessi facendo una sfilata, sono perfetti, ti scivolano addosso, seta su seta, senza inciampi, grumi, grovigli. Poi… non so che cosa accade, ma speri solo più che le tue poesie ti possano sopravvivere perché sarebbe un vero peccato che non restasse niente.

(…) E’ tutto così semplice, sì, era così semplice, è tale l’evidenza che quasi non ci credo. A questo serve il corpo: mi tocchi o non mi tocchi, mi abbracci o mi allontani. Il resto è per i pazzi.

Adesso che il tempo è tutto mio di Patrizia Cavalli

L’amour est bien plus fort que nous…